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Per il venture capital italiano la strada è ancora lunga

  • Venture capital: in Italia, i capitali investiti nel 2020 ammontano a 569 milioni di euro. In Germania e in Francia, superano i 4 miliardi

  • Per Francesco Cerruti, direttore generale di Vc Hub Italia, sono diverse le ragioni alla base del divario tra a l’Italia e gli altri paesi, a partire da una scarsa partecipazione degli investitori istituzionali.

  • Guardando alle prospettive per il prossimo futuro, a detta di Cerruti, la direzione intrapresa dal mercato italiano lascia ben sperare. Ecco perchè


Con 569 milioni di euro di capitali investiti, il 2020 è stato un anno da record per il venture capital italiano, che ha messo a segno la migliore performance negli ultimi 5 anni. Un dato positivo, ma estremamente basso se confrontato con i 4,5 miliardi della Germania, i 4 della Francia o gli 8,8 del Regno Unito. Come può essere spiegato questo divario e in che direzione sta andando il mercato italiano? Lo abbiamo chiesto Francesco Cerruti, direttore generale di Vc Hub Italia, l’associazione italiana degli investitori in innovazione.


Le ragioni del gap


“Nonostante i passi avanti, c’è ancora tanto da fare per recuperare il ritardo tra l’Italia e gli altri paesi” afferma Cerruti. Un divario determinato da diversi fattori, a partire da una scarsa partecipazione degli investitori istituzionali. “Con Vc Hub stiamo cercando coinvolgere un maggior numero di investitori istituzionali, come le casse previdenziali e i fondi assicurativi, che in altri paesi hanno l’abitudine di investire molto di più in venture capital. C’è da dire che nelle ultime settimane si è osservato un maggiore attivismo da parte di questi soggetti e ci auguriamo che questo trend possa continuare”. A pesare è anche il limitato contributo di un altro macro player, ovvero le grandi aziende. Basti pensare che in Germania il 97% (29/30) delle società quotate al Dax è attivo nel corporate venture capital, un dato che scende al 15% (6/40) tra le aziende quotate al Ftse Mib. “Questo spiega in parte come mai i volumi investiti rimangano più bassi in termini assoluti” evidenzia Cerruti. Inoltre, bisogna considerare il fatto che, rispetto ad altri paesi come la Francia, l’Italia è partita dopo. “Fino a pochi anni fa mancava una categoria, quella degli investitori in innovazione”. Ma “il vero ostacolo da superare” per colmare il gap rimane l’approccio adottato nell’investire. “Troppo spesso in Italia siamo stati attenti al numero assoluto di startup e pmi innovative, solo adesso stiamo iniziando a dare l’opportunità ad alcune di queste realtà di scalare e diventare un player europeo o persino globale” spiega Cerruti, facendo riferimento ai mega round di Casavo (200 milioni di euro) ed Everli (100 milioni di dollari) nel primo trimestre del 2021. D’altronde, è un dato di fatto che l’Italia non ospiti neanche un unicorno.


Verso un cambio di rotta?


Guardando alle prospettive per il prossimo futuro, a detta di Cerruti, la direzione intrapresa dal mercato italiano lascia ben sperare. Le ragioni principali sono tre. In primo luogo, il 2020 ha visto l’ingresso nell’ecosistema di grossi player come il Fondo Nazionale Innovazione – Cdp Venture Capital Sgr e la fondazione Enea Tech, due “game-changers” che scateneranno “un effetto moltiplicatore, coinvolgendo maggiormente e in maggior numero gli investitori privati”. Inoltre, prosegue Cerruti, la pandemia ha sottolineato l’importanza delle imprese innovative per la società nel suo complesso e “questo può attrarre anche l’interesse di quei soggetti istituzionali che storicamente sono stati meno attivi”. Il terzo punto riguarda gli aspetti normativi e in particolare “la volontà politica di incentivare tutta una serie di investimenti verso le imprese innovative”, come dimostrano le agevolazioni fiscali introdotte dal decreto Rilancio pari al 50% dell’investimento effettuato in startup e pmi innovative. vent“Le imprese innovative possono davvero essere un volano per la crescita dell’economia e bisognerebbe metterle più al centro degli interventi macro. Ci auspichiamo che il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr) dedichi una maggiore attenzione alle startup e alle imprese innovative” conclude Cerruti.


Articolo di Virginia Bizzarri pubblicato su WeWealth

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